Internandosi nelle viuzze di campagna è possibile ammirare qualche esemplare di abitazione rurale in terra cruda, note col nome di "pinciare": belle costruzioni dalle forme sobrie ed armoniose, costruite con una tecnologia semplice e con materiali poveri, facilmente reperibili: la terra cruda impastata con paglia e pula.
L'impasto per innalzare i muri esterni e i divisori era formato da terra, argilla, paglia e sassolini. Il tutto veniva energicamente lavorato con un po' d'acquua, anche calpestandolo, poi si formavano i blocchi ai quali si dava una parvenza di regolarità tagliandoli con un tagliafieno, che dopo essere stati manipolati e un po' arrotondati venivano consegnati all'addetto alla costruzione che provvedeva a sistemarli sulla parete.
Il lavoro andava avanti con una certa lentezza: il muro non veniva alzato tutto subito, per evitare crolli dovuti ai blocchi nel complesso ancora non ben consistenti ma si procedeva di circa mezzo metro d'altezza per volta in modo che, dopo che era diventata solida la parte costruita si poteva procedere con nuovi blocchi e così via. Le finestre erano poche e di ridotte dimensioni, il pavimento in terra battuta, la copertura era fatta con speciali tegole in laterizio (in dialetto teatino "li pinge", da cui probabilmente deriva la denominazione di pinciare) poggiate su una intelaiatura di canne impermeabilizzate anch'essa con fango.
La Pinciara ebbe storicamente il massimo splendore con molta probabilità all'indomani dell'invasione francese negli Abruzzi, ossia quando, sotto il dominio murattiano, il seme delle ideologie rivoluzionarie traslate nella nostra regione agli albori del secolo XIX favorì la cosiddetta "demanializzazione" ossia la confisca dei beni dei conventi, allora latifondisti, e la conseguente distribuzione fondiaria, sotto forma di "quote", ai vari cittadini. Il povero ebbe l'illusione di essere diventato ricco : aveva conquistato il possesso del fondo ma non aveva ancora la casa e non possedeva neanche i soldi per pagarsi un muratore per costruirla.
Decise così di reinventare la pinciara di terra e la costruì con poca spesa, ma un vero esemplare per i suoi criteri costruttivi e per la sua vivibilità.
Nella metà degli anni novanta la facoltà di architettura dell'Università abruzzese G. D'Annunzio, in collaborazione con la regione Abruzzo, promosse una mostra fotografica con ricerca grafica delle forme e delle tecnologie di queste case di terra, rapportandole ad analoghe costruzioni in uso presso altri contesti culturali ed ambientali, precisamente in Algeria.
Il catalogo della mostra, dal titolo "le case di terra: Memoria e realtà" (Clua, Pescara 1985, pp.48), reca una vasta serie di riproduzioni grafiche, planimetriche, fotografiche nonché una dotta introduzione a cura di M. Moranti, in cui si dimostra con dati tecnici la funzionalità della pinciara. Qualcuno sulla falsariga di un mistificante ritorno al passato, si sta adoperando a smantellare i tetti per utilizzare le tipiche tegole in terracotta nella copertura di modernissime villette, stile "rustico". Ed è un vero peccato! Lasciar morire questi ultimi residui di insediamenti millenari, testimonianze della cultura, della dura lotta dell'uomo per la sopravvivenza, spesso tra l'indifferenza.